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Pane, amore e sanità

Gennaio 3, 2014

Era il 2007 e questa doveva essere la campagna per celebrare la sanità pubblica, classificata al secondo posto nella graduatoria di merito stilata dall’Organizzazione mondiale della sanità.
«Pane, amore e sanità». E la bella facciotta rubiconda di una ragazzotta vestita da infermiera.

Come dichiarato sul sito stesso del Governo, L’intenzione dell’allora Ministro alla salute Livia Turco era di sottolineare alcuni aspetti del servizio sanitario nazionale: tutti ricevono le cure di cui hanno bisogno indipendentemente dal reddito e dal costo o dalla complessità delle prestazioni; l’aspettativa di vita è una delle migliori d’Europa; c’è un rapporto positivo tra risorse investite e accessibilità alle cure; il prontuario farmaceutico a carico della sanità pubblica è il più ricco d’Europa; la rete per trapianti d’organi in Italia è buona; il numero di Tac e Rmn pubbliche per milione di abitanti è il più alto, mentre è il più basso il tasso di infezioni ospedaliere.

La campagna doveva interpretare questi aspetti positivi, “belli” e muovere i cittadini a maggior fiducia nei confronti della sanità pubblica. Commissionata a Oliviero Toscani, fotografo celebre per le sue provocazioni, venne affissa nei maggiori centri cittadini d’Italia e sui mezzi pubblici, trasmessa in televisione e nei cinema, pubblicata sui maggiori quotidiani nazionali.  Per 1,5 milione di euro!

Epic fail

La campagna, di fatto, fu un vero disastro. Non solo per il costo esorbitante, ma soprattutto perché il manifesto del Ministero della salute non comunicava niente: era fuorviante, se non addirittura irritante. Il claim, che si rifaceva a un famoso film anni Cinquanta molto amato da alcuni, era sconosciuto a molti e quindi per nulla evocativo; l’infermiera con quell’impeccabile frangetta e le gote rubiconde corrisponde più allo stereotipo dell’infermiera di qualche B movie anni Settanta, magari d’oltralpe, vista la somiglianza della croce sulla cuffietta con quella elvetica.

Lasciando a parte la malizia, ho voluto fare una prova empirica: ho mostrato l’immagine a mia figlia di 14 anni. Senza i pregiudizi e le sovrastrutture degli adulti, mi incuriosiva sapere che messaggio le arrivasse, così le ho chiesto di raccontarmi tutto quello che l’immagine le trasmetteva. “Sembra la pubblicità di una panetteria”, mi ha risposto, e io ho smesso di indagare.

“Il consumatore non è uno sciocco, il consumatore è tua moglie!”

Sono le parole di David Ogilvy e questo doveva ben esser chiaro ai cittadini, la cui risposta non tardò ad arrivare.
La rete, infatti, immediatamente si scatenò con una vera e propria inondazione di campagne-parodia. Oggi siamo abbastanza abituati all’ironia sul web, soprattutto sui social network, ma nel 2007 erano strumenti quasi del tutto sconosciuti. Fu una delle prime volte in cui i cittadini risposero usando la parodia, fra il sarcasmo e l’indignazione; qui trovate solo alcune testimonianze che circolano ancora in rete.

Ora, è credibile quella bella facciotta rubiconda? Rappresenta davvero la sanità italiana e motiva il destinatario ad avere fiducia? La sanità italiana non è sempre eccellente, è mediamente quasi sempre passabile. Insomma, la sanità italiana più o meno funziona. A volte anche molto bene. A volte in modo sufficiente. Ma qualche volta fa disastri: quando per esempio si dimentica di disinfettare le sale operatorie, o di attaccare i respiratori al gruppo di continuità o di controllare che i tubi che portano l’ossigeno ai pazienti non inviino qualche altro gas. Poi ci sono casi di eccellenza straordinaria, ma quelli restano appunto “straordinari”, cioè fuori dall’ordinario. E così la comunicazione, come nel caso del Comune di Sagrate e della sua campagna per la prevenzione del tumore al seno, esempio di comunicazione pubblica coerente, efficace e persino bello.

Mammografiamoci

Se la sanità italiana fosse proprio bella e degna di fiducia, e il mondo degli ospedali fosse lontano dal dolore e patinato come il sorriso della ragazzotta rubiconda,  il manifesto sarebbe stato semplicemente superfluo.

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