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Didattica a distanza: luci e ombre

Gennaio 14, 2021

Tanto amata, tanto odiata; comunque la si pensi, la didattica a distanza è la piscina nella quale ci hanno buttato senza preavviso e in cui da un anno cerchiamo di non affogare.

E, nel bene o nel male, le lezioni sono finite e oggi si fanno esami.

Li osservo a monitor i miei allievi, in un silenzioso incontro su Teams: in tre ore devono analizzare e riscrivere la relazione che un’assistente sociale scrive ai colleghi di un Polo territoriale. E mi fanno molta tenerezza queste ragazze e ragazzi, perché li ho visti seguire con impegno tutte le lezioni, cogliere la sfida delle esercitazioni in gruppo, pensare, riflettere e immaginare, tra un microfono che gracchia e la connessione che salta. Sono curiosa di vedere se hanno fatto un buon lavoro: solo così saprò se l’avrò fatto anch’io, in un anno tanto anomalo.

Insegnare online e offline sono la stessa cosa? Certamente, no!

Ma nel variegato panorama delle risposte al bisogno di insegnare da remoto non mi sembra che sia tutto da scartare.

Le lezioni online non permettono le interazioni più significative, quelle alla macchinetta del caffè, nella pausa di metà lezione o fra una lezione e l’altra, o le chiacchiere in cortile, il tempo di una sigaretta. E vale per gli studenti quanto per i docenti, anche quelli che non fumano. La creatività che nasce dal contatto casuale, dalla battuta di spirito, da un commento o un non-senso rischia di avvizzire, limitata com’è. Creare un nuovo modello è stato il bisogno emergente.

Ma il cambiamento costa. Sempre e tanto.

Certamente non è stato facile, anche perché la tentazione è quella di trasportare in una dimensione nuova modi e abitudini che appartengono a un altro paradigma. È un errore. Non si può fare lezione in digitale con le stesse modalità delle lezioni in presenza. Ma con un po’ di impegno si possono aprire nuovi sentieri, ugualmente efficaci e arricchenti.

L’insegnamento di Scrittura efficace per il Servizio sociale che tengo all’università di Parma si svolge nel primo semestre: le lezioni sono da settembre a dicembre. Quello che si è appena concluso, dunque, è il primo che ho condotto online e devo riconoscere che la tempistica mi è stata favorevole. L’anno scorso, infatti, ero riuscita a tenere tutte le lezioni in presenza e anche due sessioni d’esame, prima che con il lockdown tutto si trasferisse online.

Da aprile a settembre ho avuto, così, la possibilità di maturare l’esperienza sufficiente per proporre agli studenti di quest’anno gli stessi contenuti, in modo più appropriato agli strumenti digitali.

Sembra banale, ma non lo è.
E non ci sono arrivata attraverso un percorso facile o indolore.

Appena chiuso tutto, un attacco di emicrania stratosferico è stato il segnale evidente del panico nel quale ero sprofondata; dopo 16 anni di formazione per le aziende di tutt’Italia, tutto mi sembrava concluso, impraticabile. Dovevo chiudere la Partita Iva – croce e delizia dei liberi professionisti – e cercarmi qualcos’altro da fare. Una cosa indicibile, impensabile. Terribile.

Sono stata fortunata. Pochi giorni dopo l’avvio del lockdown, infatti, un grosso cliente mi manifesta l’intenzione di mantenere fede agli accordi per un ciclo di docenze fra Roma e Milano, a partire proprio da aprile dell’anno scorso. Naturalmente, io avrei dovuto rivedere la programmazione dei corsi, che non si sarebbero più tenuti in aula, in giornate di 8 ore, ma in cicli di incontri da 2 ore ciascuno.

Naturalmente! Ma di naturale a me non sembrava esserci nulla!

L’idea di organizzare un ciclo di incontri di prova mi viene al telefono con Sabrina, la referente HR dell’azienda con cui sono solita trattare: io offro all’azienda un ciclo di incontri free, lei mi trova un gruppo di cavie cui presentare i contenuti online, in cambio di feedback spietati.

Prima di andare online, leggo tantissimo, studio, mi aggiorno, sperimento.

Poi erogo, proponendo gli argomenti concordati e le esercitazioni pratiche, caratteristica dei miei laboratori. Alcune funzionano bene, altre no. E nonostante il mio ego abbia sanguinato parecchio, ogni volta che torno online benedico i nodi nei quali sono inciampata all’inizio e i suggerimenti di quel gruppo di allievi.

Questa secondo me è stata la chiave di volta e la grande differenza con la maggior parte dei docenti che insegnano nelle scuole italiane: avere avuto l’opportunità di essere accompagnata alla scoperta delle piattaforme digitali e allo studio delle loro prerogative, che pur nell’enorme diversità rispetto a quelle in presenza, offrono possibilità di insegnare in modo efficace, appropriato e persino coinvolgente.

Purtroppo, però, la maggior parte dei docenti insegna solo all’interno di istituti scolastici e questa opportunità non l’ha avuta.

“Spinti allo sbaraglio, dalla mano dell’ipocrisia e incoerenza politica, per presentare al mondo l’Italia che lavora, hanno preteso da noi quello per cui non siamo mai stati preparati” afferma in un accorato sfogo Nicola Belfiore. “Nessuna formazione sulla didattica a distanza è stata dedicata e pensata per la scuola e per il personale scolastico, anzi, negli anni la scuola ha visto solo tagli. La realtà, per la maggior parte dei casi, è fatta di reti wireless mal funzionanti o non adeguate, di computer obsoleti, lenti e insufficienti alle reali esigenze, di fondi limitati e mai disponibili, senza contare il tema di stipendi umilianti e di gran lunga al disotto delle medie europee”.

A me è andata meglio e riconosco di essere stata davvero fortunata.

Sicuramente è fondamentale leggere tanto, studiare tanto, essere curiosi di cose diverse magari che ci sembrano lontane. Sperimentare.

Il mio bilancio è positivo, passata la prima paura, poi riesco a dare il meglio nei momenti difficili: mi scuotono, obbligandomi a uscire dalle routine in cui mi adagio quando tutto va bene per scoprire risorse che non sapevo di avere. Tutto sommato, sono contenta di essere stata messa alla prova.

E adesso tocca a voi, ragazzi: consegnate, ché il tempo è finito!

 

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